Immersioni a Bali

Confesso che ogni volta che sentivo parlare di Bali, la mia mente immediatamente accostava l’isola ‘gioiello’ a quella che è considerata la sua migliore definizione, data dal primo ministro indiano Pandit Neru, “l’alba del mondo”. 

Quello che suscitava nella mente era uno scenario terrestre fatto di paesaggi con lussureggianti risaie, un clima mite e la semplicità di una popolazione che, attraverso la sua cultura induista, evidenziava ancora di più il suo distacco dal resto della regione che vanta la maggiore concentrazione di islamici di tutto pianeta. Poi un giorno l’amico Marco mi parla con entusiasmo delle sue immersioni a Bali, e conoscendo bene il suo interesse per la vita negli ambienti marini ecco che nasce in me la curiosità di esplorare un habitat così inusuale per subacquei cresciuti con in mente le destinazioni pubblicizzate dai vari tour operator nei magazine subacquei italiani.

Avendo solo pochi giorni a disposizione, la scelta, sempre su suggerimento dell’amico Marco, cade sulla località di Tulamben, dove programmo due immersioni nel famoso relitto “Liberty wreck” e, sempre dietro sua insistenza, una mac o muck dive.

 

La prima immersione nel relitto, pur avendo un grande fascino, lascia un po’ perplessi, come spesso capita quando le aspettative sono troppo grandi. Forse anche a causa dei numerosi subacquei che ogni giorno si immergono in uno dei relitti più visitati al mondo. Seconda immersione a Seraya’s Secrets, la spiaggia immediatamente antistante il diving.


In un primo momento si rimane un po’ dubbiosi su quello che potrebbe attenderci in un fondale che degrada dalla spiaggia su massi di ciottoli e sabbia nera. Mano a mano che si scende il paesaggio si fa sempre più particolare finché iniziano i primi avvistamenti con un paio di gamberi arlecchino, parzialmente nascosti sotto un piccolo masso di acropora, ma impossibili da non scorgere a causa del loro colore bianco sullo sfondo di sabbia nera. Da questo punto in poi l’immersione si rivelerà una scoperta continua, tanto che dopo 70 minuti ci si accorge che bisogna uscire perché la guida indonesiana indica il misuratore della pressione dell’aria e fa un timido cenno verso l’alto suggerendo che forse è ora di riemergere.


In un habitat dove di coralli se ne vedono ben pochi la diversità di organismi presenti è incredibilmente elevata. Forse è questa una delle principali dimostrazioni che non è necessaria la presenza di articolati reef corallini per ospitare una biodiversità molto alta. In questa zona dove la spiaggia evidenzia ancora gli effetti dell’ultima eruzione del vicino vulcano Gunung Agung’s avvenuta nel 1963, è difficile per i coralli trovare substrati su cui attecchire, quindi i coralli che crescono sono spesso destinati a morire senza dar luogo a quelle straordinarie strutture biogeniche presenti ovunque in Indonesia. Ma non importa, la comunità che qui si sviluppa somiglia totalmente a quella di reef corallini veri e propri e se nei reef con abbondante presenza di coralli è spesso difficile distinguere questa varietà qui basta avvicinarsi a una spugna barile, che spicca in mezzo a un paesaggio brullo di cenere nera, e osservare in essa dei veri e propri micro habitat in cui convivono murene con le loro colonie di gamberetti e labridi pulitori, pesci farfalla, scorfani, lion fish, crinoidi e numerosi altri organismi.

 

Alla fine le immersioni in questo habitat sono state tre, interrotte solo da un episodio febbrile e l’aereo in partenza il giorno dopo. Meglio così, adesso ci sono motivi sufficienti per aggiungere Bali al top delle località subacquee e programmare al più presto un nuovo ed entusiasmante viaggio.

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